mercoledì 14 gennaio 2009

Comunicazione efficace in azienda

Dato che un giorno, si spera :-), lavorerò presso un'azienda o comunque avrò a che fare con esse, ho pensato di inserire nel mio blog una cosa molto importante: la comunicazione efficace dell'azienda.



La comunicazione aziendale efficace passa necessariamente per tre fasi importantissime. L'omissione anche solo di una di esse compromette inevitabilmente l'efficacia del processo comunicativo. Le tre fasi sono:
  • l'identità aziendale (corporate identity);
  • la comunicazione (efficace) vera e propria;
  • l'immagine aziendale;

L'identità aziendale

Costituisce la pre-condizione del processo di comunicazione. Se l'impresa non condivide al suo interno la propria identità, la comunicazione posta in essere non sarà mai efficace. Pertanto, l'identità è una responsabilità esclusiva dei vertici aziendali (management). In particolare, l'identità aziendale è ciò che i responsabili dell'organizzazione intendono prima valorizzare e poi comunicare, tenendo conto dei vincoli:

  • fatturali (struttura organizzativa, leggi e regolamenti, fattibilità tecnica);
  • relativi al posizionamento dell'impresa (rispetto alla concorrenza);
  • riguardanti il brand o marchio , a loro volta distinti in: retrospettivi (storia dell'organizzazione), attuali (p. es. il lancio di un nuovo prodotto), prospettivi (nuove strategie)

La comunicazione vera e propria

Acquisita da tutto il personale dell'impresa l'identità, si procede alla sua veicolazione verso il sistema in cui l'organizzazione agisce. Così sarà possibile costruire l'immagine aziendale. Infatti, il processo comunicativo può essere visto sotto due prospettive:

  • il contenuto della veicolazione, ovvero la comunicazione dell'identità;
  • la parte finale del processo stesso, ovvero la costruzione dell'immagine

Esistono tre modelli per veicolare l'identità:

  • funzionale; esiste una funzione, un sottosistema interno incaricato e responsabile della comunicazione esterna;
  • della comunicazione pubblicitaria; l'attività promozionale è affidata ad agenzie esterne, eventualmente nel rispetto delle direttive di massima impartite dal responsabile aziendale;
  • integrato; in questo caso, il processo comunicativo non è competenza esclusiva di un sottosistema interno (o di una particolare funzione), ma è un'attività che integra tutti i sottosistemi o le funzioni dell'impresa, in modo da fornire un'identità coerente ed unitaria. Il modello integrato, quindi, è l'unico che tiene conto della complessità gestionale dell'azienda, permettendo di evidenziare opportunità e difficoltà di una comunicazione veramente efficace.

Vediamo meglio il modello integrato di comunicazione:

Può essere definito dalla frase: "integrare testi diversi, per pubblici diversi, con mezzi di comunicazione diversi.

Le parole chiave sono:

  • testi: esistono varie possibilità e la scelta è dettata, da un punto di vista semiotico, dalla forma dell'espressione: scrittura, compresa quella sullo schermo del computer (siti web);
    oralità, come il "faccia a faccia" (p.es. nei punti vendita o negli stand in occasione di fiere), con tutti i vantaggi della comunicazione verbale e non verbale, inclusi i feed-back (gli effetti di ritorno tipici di questo tipo di comunicazione); materiale visivo (p.es. il manifesto illustrato); materiale audiovisivo (p.es. gli spot televisivi).
  • pubblici destinatari:
    possono essere: interni;in questo caso la comunicazione è fatta allo scopo di aumentare l'efficacia delle relazioni tra gli uffici, di creare spirito di gruppo e di far crescere la consapevolezza della nuova identità; esterni;non solo i consumatori-clienti, ma anche il grande pubblico non cliente, le associazioni dei consumatori, i gruppi d'opinione, le istituzioni ed i mass media; ciò risponde ai nuovi orientamenti in fatto di marketing, dove alle tradizionali 4 "P" (princ, product, place e promotion), se ne sono aggiunte altre 2 (politics e public relations), grazie al "megamarketing" di Kotler;
  • mezzi di comunicazione:
    il mezzo non serve solo a veicolare l'identità, ma è esso stesso identità ("il mezzo è il messaggio" afferma McLuhan); l'azienda sceglierà fra mezzi che ospitano altri testi (come le testate) o mezzi propri; è da ricordate che i mezzi di comunicazione hanno una diversa efficacia a seconda se siano unidirezionali oppure dotati di una qualche forma di feed-back, perché i secondi permettono la definizione di strategie maggiormente tarate sul cliente; in base ai pubblici destinatari abbiamo: mezzi destinati a pubblici interni, come le note interne, le circolari e le bacheche; mezzi destinati a pubblici esterni, questi ultimi distinti in clienti allargati (raggiunti con tutti i mezzi a disposizione) e mass media (raggiunti con i mezzi della conferenza e del comunicato stampa).

L'immagine aziendale

Se l'identità è la condizione necessaria, ma non sufficiente per una comunicazione efficace, la parte finale del processo comunicativo rappresenta a tutti gli effetti la costruzione dell'immagine aziendale.

Abbiamo due diverse tipologie di immagine d'impresa:

  • immagine riscontrata; è l'identità che i pubblici destinatari percepiscono ed è rilevata dalle classiche indagini quali-quantitative (p.es. sondaggi);
  • immagine attesa; è costituita dall'identità e dai valori che l'azienda ha posto alla base della comunicazione che gradirebbe vedere riconosciuti dai pubblici destinatari

L'ideale per l'organizzazione imprenditoriale è quello di arrivare ad un'unica immagine unitaria, che sia la fissione delle immagini riconosciuta ed attesa.

L'immagine unitaria ha infatti due importanti funzioni:

  • definisce un "sistema di attese" della clientela che l'impresa deve saper soddisfare;
  • fornisce una "cornice di senso" all'interno della quale interpretare il testo; quando infatti lo stesso messaggio pubblicitario, emesso da aziende diverse (ma con oggetto sociale similare), è differentemente percepito dal medesimo pubblico, significa che bisogna guardare alla cornice di senso del messaggio, perché è quest'ultima ad indurre una diversa interpretazione.

domenica 4 gennaio 2009

13 Regole per una buona comunicazione

Ecco qua 13 semplici regole che il formatore dovrebbe seguire per avere una comunicazione efficace (buona comunicazione).

  1. Tenere presente il tipo di persone alle quali ci si rivolge per poter decidere in
    anticipo:
    - il tono dell'intervento: formale, sciolto, serioso, enfatico, scanzonato;
    - la lunghezza dell'intervento stesso;
    - l'incipit, cioè l'avvio: adattare la prima frase al pubblico che ascolta è un vecchio trucco di
    imbonitori e cabarettisti, un po' sfruttato ma efficace;
    - l'abbigliamento.
  2. Preparare un progetto di esposizione di quello che volete comunicare:
    l'improvvisazione può essere pericolosa.
    - Individuare i punti di forza in modo che il pubblico li capisca completamente e ne sia
    coinvolto;
    - Controllare i fatti e i riferimenti che supportano il discorso;
    - Pensare alle domande, alle controdeduzioni che possono essere rivolte.
  3. Tenere nella massima considerazione le aspettative, le motivazioni, le opinioni e il
    perché sono presenti gli ascoltatori.
    - Quale utilità riceverà il pubblico dal nostro discorso?
  4. E' consigliabile fare una piccola prova generale del discorso che si intende
    pronunciare.
    - Concentrare tutti i concetti base nei primi minuti: la soglia di attenzione dei pubblico ha
    andamento ondulatorio, cala vertiginosamente dopo i primi 10 minuti ed è pressoché
    inesistente dopo i 45 minuti. Quindi variare l'intensità del discorso.
  5. Conoscere bene lo strumento che utilizzerete per comunicare, facendo attenzione
    ai problemi organizzativi.
    - Quali sussidi audiovisivi utilizzeremo per rendere più efficace il nostro discorso?
  6. Controllare la propria emotività.
    - Prima di iniziare un discorso respirare profondamente e dire la prima fase con un tono
    deciso: se va bene la prima frase, il discorso ha più probabilità di essere efficace.
  7. Controllare la gestualità senza esserne intimoriti, un discorso privo di gestualità
    rischia di apparire troppo gelido, distaccato, trasmette ansia.
    - Non tenere mai le braccia conserte: è un segnale di chiusura, di scarsa disponibilità;
    - Assumere una posizione aperta, eretta: le posizioni curve comunicano insicurezza e
    instabilità.
  8. Variare con una certa frequenza il tono della voce.
    - E’ meglio parlare lentamente, cercando di utilizzare la voce nelle diverse tonalità ed
    evitando i toni striduli, acuti o troppo gravi. Inserire nel discorso pause brevi per
    evidenziare i concetti più importanti e per prendere tempo in caso di difficoltà.
  9. E' fondamentale guardare l'interlocutore e il pubblico a cui ci si rivolge.
    - Fissare alcune persone per volta e cercare di stabilire un dialogo con il pubblico
    percependo le reazioni e adeguandosi a queste.
  10. Il pubblico deve partecipare come se si stesse dialogando con lui.
    - E' importante utilizzare domande retoriche e arricchire il discorso con aneddoti e storie;
    non utilizzare mai barzellette: se il pubblico non ride o una buona parte resta indifferente si
    crea un colpo mortale per la credibilità di chi parla.
  11. Parlare sempre a voce alta, respirare lentamente in modo che non si sentano
    ansiti o sospiri.
  12. Mantenere sempre il controllo della discussione anche nel caso in cui vengano
    poste delle domande difficili o siate attaccati direttamente.
  13. Ogni affermazione può essere valida e tanto più lo è quanto è più credibile
    l'immagine di chi la fa: il viso, gli occhi, i gesti, il tono sono la garanzia della credibilità
    dell'esposizione verbale.

http://www.memotech.it/download/13regole.pdf

domenica 21 dicembre 2008

Il mobbing

Guardando nei blog dei miei compagni cercavo un esempio di "errata comunicazione" e il blog di Paola http://paolafioreblog.blogspot.com/search?updated-min=2008-01-01T00%3A00%3A00-08%3A00&updated-max=2009-01-01T00%3A00%3A00-08%3A00&max-results=10 è proprio quello che stavo cercando.
Tratterò in breve l'argomento del mobbing, in quanto esempio eclatante di comunicazione negativa.
esso si presenta come una forma di comunicazione ostile, diretta in modo sistematico da parte di uno o più individui verso un simile, il quale si trova così in una situazione di impotenza e mancanza di difese.
Ciò che al moderno Mobbing resta degli antichi costumi, è la tecnica di progressiva e sistematica diffusione di notizie finalizzate ad isolare una determinata vittima, a metterle contro l’intero gruppo e infine colpevolizzarla. Certo, oggi non si rischia più di finire al rogo o sulla forca per decreto regio, come avveniva al tempo della caccia alle streghe, ma si può ben affermare che lo sbocco di questi comportamenti vessatori è altrettanto dannoso, in quanto l’odierna vittima di Mobbing è indotta ad autodistruggersi e a ricorrere, nei casi più gravi, al suicidio. Si ha dunque, oggi come ieri, per dirla come Nietzsche, l’annichilimento dell’essere umano.

ATTRAVERSO QUALI AZIONI SI REALIZZA ?
  1. semplice emarginazione
  2. diffusione di maldicenze
  3. continue critiche
  4. persecuzione
  5. assegnazione di compiti dequalificanti
  6. compromissione dell’immagine sociale
  7. sabotaggio del lavoro e azioni illegali
E' proprio sul secondo punto che vorrei porre maggiore attenzione. Con la diffusione di maldicenze si intendono offese, intimidazioni o insulti, abusi di potere o ingiuste sanzioni disciplinari, che inducono, in colui contro il quale sono indirizzate, sentimenti di rabbia, minaccia, umiliazione,vulnerabilità, che mina la fiducia in sé stesso e può causare malattie da stress.

Pertanto, attraverso questo post, ho voluto sottolineare come nella realtà ad una comunicazione che rispecchia un'azione "positiva" si contrapponga una comunicazione di tipo "negativo". Quest'ultimo ha la capacità di distruggere (la personalità) dell'individuo che sta subendo l'atto vessatorio.

Fonti:
http://www.pavonerisorse.it/pof/rischidelmestiere/mobbing.pdf
http://sociologia.tesionline.it/sociologia/articolo.jsp?id=2598

Ascolto

Prendendo spunto dal blog della mia compagna di corso "http://lupag-tiascolto.blogspot.com/" mi è venuto in mente che uno dei fattori essenziale della comunicazione è "l'ascolto attivo".
Ma come ascoltare in modo attivo?
Come dimostrare capacità di porre attenzione alla comunicazione del proprio interlocutore?
L'ascolto attivo si basa sull'empatia e sull'accettazione. Esso si fonda sulla creazione di un rapporto positivo, caratterizzato da ''un clima in cui una persona possa sentirsi empaticamente compresa'' e, comunque, non giudicata.
Quando si pratica l'ascolto attivo, invece di porsi con atteggiamenti che tradizionalmente vengono considerati da ''buon osservatore'', ossia, come persone impassibili, ''neutrali'', sicure di sé, incuranti delle proprie emozioni e tese a nascondere e ignorare le proprie reazioni a quanto si ascolta, è più opportuno rendersi disponibili anche a comprendere realmente ciò che l'altro sta dicendo, mettendo anche in luce possibili difficoltà di comprensione. In questo modo è possibile stabilire rapporti di riconoscimento, rispetto e apprendimento reciproco. Per diventare ''attivo'', l'ascolto deve essere aperto e disponibile non solo verso l'altro e quello che dice, ma anche verso se stessi, per ascoltare le proprie reazioni, per essere consapevoli dei limiti del proprio punto di vista e per accettare il non sapere e la difficoltà di non capire.

I principali elementi che caratterizzano una buona attività di ascolto, sono:

  • sospendere i giudizi di valore e l'urgenza classificatoria, cercando di non definire a priori il proprio interlocutore o quanto egli dice in ''categorie'' di senso note e codificate
  • osservare ed ascoltare, raccogliendo tutte le informazioni necessarie sulla situazione contingente, ricordando che il silenzio aiuta a capire e che il vero ascolto è sempre nuovo, non è mai definito in anticipo in quanto rinuncia ad un sapere già acquisito
  • mettersi nei panni dell'altro - dimostrare empatia, cercando di assumere il punto di vista del proprio interlocutore e condividendo, per quello che è umanamente possibile, le sensazioni che manifesta
  • verificare la comprensione, sia a livello dei contenuti che della relazione, riservandosi, dunque, la possibilità di fare domande aperte per agevolare l'esposizione altrui e migliorare la propria comprensione
  • curare la logistica, facendo attenzione al contesto fisico-spaziale dell'ambiente in cui si svolge la comunicazione per agevolare l'interlocutore e farlo sentire il più possibile a proprio agio.

giovedì 11 dicembre 2008

Come si può comunicare

In precedenza ho parlato dei tre livelli della comunicazione riguardanti l'intenzionalità. E' opportuno, però, sapere che esistono altri livelli riguardanti la realizzazione del processo comunicativo.
Questi sono semplicemnte i modi con cui noi comunichiamo:
  1. Livello verbale parlato o scritto: esso riguarda il contenuto del messaggio (parole, corretto utilizzo dei termini del linguaggio...)
  2. Livello paraverbale: sono tutte le tonalità che noi diamo al messaggio (tono, pause dialogiche, spinte ed accellerazioni, velocità timbro volume, inflessioni dialettali...)
  3. Livello non verbale: in esso è contenuto tutto ciò che concerne il linguaggio corporeo connesso con il verbale (postura atteggiamento, gestualità, mimica facciale, respirazione, gestione dello pazio..)
  4. Livello simbolico visivo: è il linguaggio non verbale con forte valenza simbolica (abbigliamento, pettinatura, status symbol...)

E' chiaro che per ognuno di questi livelli la cultura, l'educazione hanno una forte influenza. Credo, però, che il punto numero tre abbia bisogno di una particolare attenzione. Ma di questo parlerò in un prossimo post.

Ciao a tutti!

Tratto da: http://www.vincenzomoretti.it/massa/ci.ppt#256,1,

Atto comunicativo

Prendendo spundo dal commento del nostro collega Saleh, ho pensato sia molto interessante parlare di "atto comunicativo".
L’atto comunicativo ha il compito di rendere comune l’oggetto della comunicazione tra due o più interlocutori. Esso deve essere inteso come la trasmissione di informazione attraverso messaggi, da un emittente a un destinatario. Perché tale processo avvenga, è necessario che le componenti che formano il messaggio (i segni) siano costruite secondo certe regole e combinate secondo altre; tali regole formano il codice. Se non fossero presenti queste regole, la comunicazione risulterebbe alquanto difficoltosa. La comunicazione umana si profila come un processo interattivo in cui ci si capisce in relazione a situazioni, interessi, attese e circostanze.
All’interno di un atto comunicativo non ci sono solo un emittente e un ricevente; bensì, come ci fa notare Jakobson, una situazione comunicativa è caratterizzata anche e soprattutto dal messaggio che viene trasmesso, dal codice mediante cui è codificato tale messaggio, dal canale (mezzo o strumento fisico della trasmissione del messaggio), dal contesto e dal contatto tra emittente e ricevente.
La comunicazione può quindi essere intesa come il processo che consiste nel trasmettere o nel far circolare delle informazioni, cioè un insieme di dati tutti o in parte sconosciuti al ricevente prima dell’atto comunicativo. Va inoltre sottolineato che:
a) la relazione tra emittente e ricevente è bilaterale e reversibile, nel senso che ciascun partner presenta la possibilità di assumere anche il ruolo dell’altro;b) -poiché il messaggio è considerato quale portatore di significato, allora esso conduce all’azione;
c)nell’atto della comunicazione l’emittente e il ricevente si adattano l’uno all’altro e alla situazione generale per trasmettere il significato;
d)la situazione fondamentale della comunicazione è il dialogo, ma nella realtà concreta la relazione tra emittente e ricevente si trova integrata in una molteplicità di reti. Ogni relazione è cioè influenzata dall’esistenza di una vasta e complessa relazione sociale;
e)la comunicazione umana è un atto guidato dall’intenzionalità.Il momento dell’emissione di un messaggio è caratterizzato dalla necessità di trasformare un contenuto psichico in un fatto obiettivo per trasmetterlo all’interlocutore e per far sì che questo ultimo lo possa comprendere.
Il secondo momento dell’atto comunicativo è costituito dalla decodifica del messaggio trasmesso: si tratta di un processo dinamico e complesso che comporta una ricca attività cosciente, attenzione e sforzo per raccogliere tutti i dati necessari alla comprensione di una espressione. Una volta percepito e decifrato il messaggio (verbale o meno) lo si deve ricostruire. La ricezione implica una continua creazione, consistente nel tentativo di ricercare il significato inteso dall’emittente. Quindi, accanto alla percezione e al riconoscimento dei segni, si ha anche l’interpretazione di tale messaggio. Ma non sempre si arriva alla percezione esatta del messaggio trasmesso, in quanto questa può venire alterata da elementi di disturbo, quali ad esempio componenti emotive, stati patologici che compromettono l’esito della comunicazione. Poiché il problema della malattia mentale da sempre coincide con quello del rapporto tra individuo e organizzazione, allora molto spesso, contesto e aspettative agiscono in modo integrato, facendo sì che percepiamo le cose e le persone come ci aspettiamo di trovarle. Si tende cioè ad interpretare i segni in modo che risultino compatibili con le nostre credenze. A loro è stata data quindi notevole importanza in ambito comunicativo.

Fonti:
[S. Gensini (a cura di), Manuale della comunicazione, Ed. Carocci, Roma, 1999, p. 25].
[Enciclopedia Garzanti di filosofia, p. 195].
[Ricci Bitti, Zani, op. cit. p. 26].

Comunicazione e Linguaggio

L’uomo e il suo comportamento sono da sempre il prodotto della presenza simultanea degli elementi di carattere biologico, psicologico, affettivo e sociale. Da questo deriva il fatto che la comunicazione deve essere considerata, in tutte le sue forme, un fattore determinante degli scambi reciproci tra individui. Se da una parte è vero che l’uomo comunica verbalmente attraverso apparati biologici esclusivi della sua specie (corde vocali, area cerebrale del linguaggio…), è anche vero che l’estrema artificiosità ed articolazione della comunicazione umana, deriva da un’acquisizione culturale che va ben oltre la trasmissione genetica e viene inscritta nella storia di ogni uomo; in modo particolare nel suo gruppo sociale di appartenenza. Comunicare significa rendere comune e deriva dall’aggettivo “comune”, la cui etimologia, da cum (con) e munus (incarico), sta propriamente per “che compie l’incarico insieme con altri”
[S. Marsicano (a cura di), Comunicazione e disagio sociale, Ed. F. Angeli, Milano, 1987, pp. 215, 216].